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È una sintesi tra stagnazione e inflazione, ovvero un aumento dei prezzi senza che vi sia una reale crescita economica. Due situazioni molto negative per il mercato che possono avere conseguenze negative anche sul potere d'acquisto dei cittadini? Ecco quali sono e perché al momento l'Italia non è in stagflazione.
La guerra in Ucraina ha riportato in auge una parola che non sentivamo dagli anni'70: stagflazione. La parola è la crasi tra i termini stagnazione e inflazione: si tratta di una situazione economica in cui il mercato soffre contemporaneamente di un'elevata crescita dei prezzi (appunto inflazione) e di una crescita bassa o nulla del prodotto interno lordo (Pil), detta stagnazione.
Una delle regole di mercato è che quando c’è crescita della produzione seguita o provocata da una crescita della domanda questo fa crescere i prezzi e quindi anche l’inflazione. Insomma, c’è una relazione diretta tra crescita economica e inflazione. I prezzi crescono ma questo significa anche che c’è domanda sostenuta e che quindi anche il potere di acquisto delle famiglie è cresciuto. In questo caso il mercato è in buona salute.
Al contrario la stagflazione non è per niente una buona notizia. È la congiunzione di due situazioni molto negative. La crescita è bassa o nulla e questo significa bassa produzione e quindi anche stipendi non adeguati con basso potere di acquisto delle famiglie, e d’altra parte c’è una crescita dei prezzi che le famiglie non possono sostenere a causa dei loro bassi stipendi. La stagflazione erode quindi i consumi e a lungo termine rappresenta un grosso problema perché la domanda rallenta, i risparmi vengono erosi e la produzione arranca.
Si verifica quando la crescita dei prezzi non è generata da una crescita della domanda ma è provocata da fattori esterni e non controllabili. Proprio quello che stiamo vivendo in questi giorni. Infatti, la guerra ha come conseguenza diretta una crescita del prezzo delle materie prime come gas, petrolio e grano. Per un Paese come l’Italia fortemente dipendente dall’estero questo è un grande problema. Lo è perché tutto diventa più caro, produrre beni diventa più caro e i prezzi dei prodotti finiti crescono.
È quello che abbiamo già visto con la bolletta energetica, ed è quello che vedremo tra qualche tempo ad esempio con la pasta o il pane. Altro problema è che se l’Unione Europea dovesse decidere di utilizzare come sanzioni per la guerra l’interruzione delle forniture energetiche dalla Russia questo avrebbe un impatto diretto anche sul sistema manufatturiero italiano; se le forniture russe non fossero compensate adeguatamente da altre fonti di energia anche le imprese dovrebbero rallentare la produzione.
Se ciò dovesse accadere infatti avremmo la stagflazione: una crescita dei prezzi e appunto una produzione che rallenta.
Secondo le previsioni della Bce (la Banca centrale europea) la crescita italiana del 2022 dovrebbe essere del +4,1%. Nel breve periodo, la Commissione Europea prevede che l’erosione del potere d’acquisto e l’indebolimento della fiducia dei consumatori intaccheranno la crescita del Pil reale, in particolare i servizi di consumo. Tutto questo come conseguenza del caro energia. La media dell’inflazione nel 2021 è stata dell’1,9%. Si ipotizza una crescita dell’inflazione nel 2022 al 3,8%. Ma queste erano le previsioni precedenti allo scoppio della guerra, in cui si ipotizzava un ritorno alla normalità nel secondo trimestre del 2022: ora non è detto che questo accada.
Se il tasso d’inflazione dovesse crescere la Bce dovrebbe intervenire sui tassi mercato (il tasso Bce è zero dal 2016) e aumentarli. D’altra parte, l’aumento dei tassi di interesse potrebbe anche avere effetti negativi sull’economia e sui prestiti a imprese e famiglie con un ulteriore rallentamento della crescita. È per questo motivo che la Bce è molto cauta su un aumento dei tassi.
Insomma, la Bce si trova ora in una posizione molto più scomoda rispetto a prima dello scoppio della guerra: l’inizio del rialzo dei tassi ufficiali, che sembrava ormai scontato, ora non è più così facile da mettere in atto. E le conseguenze di questa difficile posizione della Bce ora si potranno sentire non solo sui mutui, ma anche sugli investimenti in obbligazioni.
C’è però una buona notizia; non possiamo per il momento essere in stagflazione. La crescita dell’Italia dovrebbe infatti essere sostenuta dai fondi della Next EU Generation e quindi dal PNRR, che dovrebbe portare risorse nel nostro Paese e quindi far crescere il Pil. Tutto dipenderà da quanto queste risorse riusciranno a sostenere l’economia in un periodo di crescita dei prezzi. E bisognerà anche essere bravi a trovare fonti energetiche alternative. Ad esempio, il gas dall’Algeria, l’aumento delle estrazioni in Italia, l’acquisto di petrolio da altri Paesi. C’è chi addirittura prospetta il ritorno al nucleare e altri che invitano l’Unione Europea a una politica energetica comune dei Paesi membri in cui le riserve energetiche vengano messe in condivisione.
Intanto però la guerra in Ucraina sta pesando particolarmente sui prezzi delle azioni delle banche europee: solo nella settimana tra il 28 febbraio e il 4 marzo hanno perso in Borsa il 18%. In particolare, l’indice che racchiude l’andamento dei principali titoli bancari italiani (Ftse Italia banche) ha ceduto ben il 23,5% in una sola settimana.
I motivi di questa contrazione sono molteplici, ma in primo luogo c'è l’esposizione generale delle banche italiane (ma anche di quelle francesi) alla Russia, ovvero in questo momento le banche italiane hanno un alto rischio di perdere il denaro investito in Russia. Si stima ad esempio che la loro esposizione sia il 66% in più di quella di tutte le banche americane. Questo significa che la prevista recessione in Russia (ovvero una perdita della ricchezza di quel Paese) ha più impatto sulle banche italiane che su altre banche.
Inoltre le banche sono la “cinghia di trasmissione” della crescita economica: se la crescita rallenta, le imprese e le famiglie chiedono meno mutui e prestiti e questo va a detrimento dei ricavi che le banche possono incassare. Ma le stesse famiglie e imprese, se l’economia non gira, rischiano anche di non onorare prestiti e mutui già contratti: se non lo fanno, le banche devono svalutare il valore di quei crediti, con conseguenti perdite sul bilancio.
Minori utili e più rischio di perdere i soldi prestati sono una combinazione letale per gli indicatori di solidità bancaria, come il CET1, che rischia di contrarsi progressivamente nel corso dei prossimi mesi. Se il valore di CET1 si riduce, le banche potrebbero essere costrette a effettuare aumenti di capitale per rafforzarsi, ma anche con un impatto negativo sul prezzo delle loro azioni in Borsa.
Non vediamo al momento rischi per la normale operatività bancaria, quindi non c’è bisogno di andare nel panico e correre a prelevare i soldi dai conti correnti. Ricorda che comunque fino a 100.000 euro per conto e per depositante c’è la garanzia del fondo di tutela interbancario dei depositi - e nei casi di banche in crisi visti a livello europeo negli anni scorsi i soldi sui conti fino a 100.000 euro non sono mai stati coinvolti da possibili fallimenti o ristrutturazioni. Meglio comunque scegliere banche con indicatori solidi: ecco la nostra classifica. Sconsigliamo, invece, di comprare obbligazioni delle banche italiane ed europee: al momento il profilo rischio/rendimento di questi investimenti non è ancora particolarmente interessante. Sconsigliamo anche di comprare azioni di banche italiane ed europee.
Quella di Milano è una delle Borse in cui il peso dei titoli bancari è maggiore: quindi non sorprende che in questi giorni l’indice FtseMib di Piazza Affari sia stato tra quelli che si è comportato peggio. Nella sola settimana tra il 28 febbraio e il 4 marzo, ha lasciato sul terreno il 12,8% contro il -10,4% medio delle principali azioni della zona euro (indice Euro Stoxx 50). Al contrario, ci sono listini che hanno persino guadagnato: le Borse dell’Australia e del Canada, particolarmente legate all’andamento dei prezzi delle materie prime, hanno guadagnato nella stessa settimana circa l’1,5% che diventa, per te in euro, rispettivamente +6,4% e +4,3%. Anche la Borsa di New York, su cui pesano tanto i titoli tecnologici, ha tutto sommato retto: nella stessa settimana ha limitato il calo all’1,3%, che diventa, però, in euro, un guadagno dell’1,7%. Per ulteriori approfondimenti sull’andamento delle Borse in questi difficili giorni, puoi consultare la nostra analisi.
Insomma, è molto importante diversificare gli investimenti su diversi mercati. Non mettere mai tutte le uova nello stesso paniere, ma investire su diversi listini di vari Paesi e su azioni di diversi settori – non comprare solo azioni tecnologiche, per esempio. Inoltre, è importante scegliere bene le Borse su cui investire: al momento a tutti consigliamo di avere in portafoglio investimenti sulla Borsa americana, mentre sconsigliamo a tutti di avere in mano investimenti legati alla Borsa italiana. Per conoscere quali sono i mercati su cui consigliamo di investire e per i consigli su come ripartire al meglio i tuoi risparmi, ci sono i consigli di investimento di Altroconsumo Investi.
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